É la seconda volta che Anagoor, gruppo teatrale nato a Castelfranco quindici anni fa, è invitato alla Biennale Teatro, sezione Young Italian Brunch (la prima volta nel 2011 con Fortuny). Con L.I. | Lingua Imperii in scena venerdì 7 agosto al Teatro Fondamenta Nuove, il gruppo diretto da Simone Derai e Patrizia Vercesi (drammaturgia) ha confermato una propensione alla recita su schemi che vanno oltre. Sviluppare un tema così complesso come l’origine di una lingua e trasformarlo in una parodia, a volte paradossale, mette a confronto una pedagogia scolastica che solo a posteriori ci fa conoscere risultati terribili.
Chi, se non la scuola ha plasmato l’uomo dittatore, razzista, criminale politico? Il dialogo iniziale dei due ufficiali nazisti “a caccia di una verità assoluta sull’ebraicità dei giudei caucasici, parlanti però una lingua neoiranica, tema appassionante sul valore della lingua come unico vero collante di una comunità, altrimenti indefinibile con le categorie razziali” (Stefano De Stefano), fa riflettere, visto che a quella precisa epoca un’ideologia estrema poté giustificare qualsiasi atto contro natura. Tuttavia, il genocidio di ieri (il lemma risale al 1944) non è sparito dalla testa dell’uomo. La mattanza, l’uomo cacciatore per antonomasia colui che cattura e domina un popolo riempie ancora le pagine di cronaca dei nostri giorni. In Lingua Imperii è chiara la manipolazione nel controllare altre culture, imponendo una lingua diversa, quella appunto del dominatore (“cacciatore”), però facendo partecipe lo spettatore del ruolo che possono avere la memoria e la storia attraverso narrazioni individuali, figure simboliche, testimonianze reali, note musicali e canti originali, videoclip, immagini panoramiche e primi piani, con un apparato costumista studiato nel particolare, con oggetti ricavati da un’utensileria domestica (il ferro piegato della gruccia, i filtri del passaverdura), che nella loro ironica trasformazione sono il simbolo della violenza umana “a scapito dell’Altro”, partendo dal sacrificio di Ifigenia “incoronata” e arrivando alla Shoah e oltre.
Post scriptum
Leutnant Voss, un linguista arruolato nell’esercito del Terzo Reich, spiega all’ufficiale delle SS, l’hauptsturmbannführer Aue, la complessità degli oltre 50 idiomi parlati nella regione del Caucaso. Il loro dialogo si svolge su due differenti schermi ai lati della scena, sono proiezioni che dettano la cornice teorica di un discorso su lingua e potere, la caccia come sistema di sterminio dell’uomo e la Shoa…(Adriana Pollice)
Dal Caucaso del 1942 sugli schermi lo spettatore si trova confrontarsi sulla scena con attori che rievocano il mito di Ifigenia, trasformata in un animale sacrificale per propiziare il viaggio alla conquista di Troia. Il rito e le regole della caccia, presenti persino nelle storie edificanti dei santi, rendono socialmente praticabile (“giusto”) l’eccidio, a Srebrenica come in Armenia, o quello che sappiamo sulle recenti rivoluzioni arabe.
In scena le armonie vocali si mescolano con delle sonorità elettroniche, assordanti, pruriginose, fino ad aprirsi a due meravigliosi canti tradizionali armeni interpretati da Gayanée Movsisyan. Agli attori la rappresentazione della Shoa: il dominio assoluto esercitato attraverso l’autorità precostituita (la legge scritta), la preparazione al sacrificio e il suo rifiuto, la mattanza. Sullo schermo grande, sul fondo della scena, i volti diventano proiezioni di ritratti, il viso sfigurato da finimenti come fossero cavalli, per poi cedere il passo a pecore, cervi senza controllo sul proprio destino. L’occhio del cervo puntato dal teleobiettivo che già ci ricorda quello dell’asino della Cappella degli Scrovegni a firma di Giotto, non ancora Patrimonio mondiale Unesco.
Note
http://www.anagoor.com/spettacoli/Lingua%20Imperii/Lingua%20imperii.htm
ANAGOOR
Anagoor nasce a Castelfranco Veneto nel 2000 raccogliendo, attorno a Simone Derai e Paola Dallan, la precedente esperienza di un gruppo di artisti del teatro. Al primo nucleo si aggiungono Anna Bragagnolo, Marco Menegoni, Moreno Callegari e Pierantonio Bragagnolo, contribuendo alla definizione del gruppo e alla sua direzione. Il gruppo è formato da alcuni studenti del Liceo Ginnasio Statale Giorgione, assistito e “valorizzato” da Patrizia Vercesi, docente titolare di materie classiche, che si adopera anche nella proposta laboratoriale formativa didattica.
Filologia, storia dell’arte, architettura, arti visive, danza, musica, più un lungo, instancabile apprendistato teatrale: questa è la formazione dei giovani componenti di Anagoor. Progetto di politica teatrale (il nome, in onore alla città immaginaria di Buzzati (Le mura di Anagoor), è scelto perché nasce “dall’amore dei suoi fondatori per la città”), nel 2008 inaugura a propria cura La Conigliera: recuperato da un allevamento cunicolo nell’aperta campagna veneta, è oggi spazio dedicato alla ricerca, fra percorsi di residenza, di formazione e rassegne. Il luogo, unico nel suo genere, è ubicato alle porte del parco regionale delle sorgenti del Sile, in via Palù di Castelminio di Resana. Dove la natura si lascia in parte dominare dall’uomo.
Nel 2007 Operaestate Festival inserisce Anagoor in Piattaforma Teatro Veneto tra le più significative emersioni teatrali regionali. Nel 2008 è finalista al Premio EXTRA segnali dalla nuova scena italiana con jeug. Nel 2009 riceve la segnalazione speciale del Premio Scenario 2009 per Tempesta. Nel 2010 è finalista al Premio Off del Teatro Stabile del Veneto. Nel 2011 lo spettacolo Fortuny è invitato alla Biennale Teatro di Venezia sezione Young Italian Brunch. Tempesta debutta all’Institute of Contemporary Art di Londra e al Waves Theatre Festival in Danimarca. Anagoor è ospite al festival Escrita na paisagem in Portogallo. Anagoor si insedia e abita, per un evento eccezionale, unico e irripetibile, il Museo Fortuny di Venezia: il palazzo non si apriva ad un allestimento performativo dal passaggio di Peter Greenaway. Nel 2012 debutta al Trento Film Festival lo spettacolo L.I. Lingua Imperii. A Milano all’interno di Festival MiTo debutta Et manchi pietà, concerto dell’Accademia d’Arcadia con installazione video a cura di Anagoor. Tempesta è invitato al festival Temps d’images a Parigi. Anagoor è parte di Fies Factory, curato da Centrale Fies. Al Napoli Teatro Festival di quest’anno la compagnia Anagoor presenta due pièce L.I.| Lingua Imperii e Virgilio brucia, entrambi a Castel Sant’Elmo.
L.I. | Lingua Imperii
violenta la forza del morso che la ammutoliva
Spettacolo vincitore del premio Jurislav Korenić per la regia al GRAND-PRIX del 53mo Festival MESS di Sarajevo 2013
Attori Anna Bragagnolo, Moreno Callegari, Viviana Callegari, Marco Crosato, Paola Dallan, Marco Menegoni, Gayanée Movsisyan, Alessandro Nardo, Monica Tonietto
e Hannes Perkmann, Hauptsturmbannführer Aue; Benno Steinegger, Leutnant Voss
Voci fuori campo di Silvija Stipanov, Marta Cerovecki, Gayanée Movsisian, Yasha Young, Laurence Heintz
Traduzione e consulenza linguistica Filippo Tassetto
Costumi Serena Bussolaro, Silvia Bragagnolo, Simone Derai
Musiche originali Mauro Martinuz, Paola Dallan, Marco Menegoni, Simone Derai, Gayanée Movsisyan, Monica Tonietto
Musiche non originali Komitas Vardapet, musiche della tradizione medievale armena
Video Moreno Callegari, Simone Derai, Marco Menegoni
Drammaturgia Simone Derai, Patrizia Vercesi
Regia Simone Derai
Produzione Anagoor 2012
Coproduzione Trento Film Festival, Provincia Autonoma di Trento, Centrale Fies, Operaestate Festival
Young Italian Brunch è realizzato in collaborazione con il Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale
Fonti letterarie tratte da: Jonathan Littell, Winfried Georg Sebald, Primo Levi, fino al saggio L.T.I. Lingua Tertii Imperii di Victor Klemperer: “Linguista di Dresda ebreo – spiega Derai -, scrisse diari che sono una documentazione della trasformazione del tedesco, con la comparsa di una lingua nuova, che è quella del Reich: una lingua che impoverisce il tedesco, le sue tradizioni; che urla, che suggerisce parole, le infila nella testa delle persone”.
Note
“Genocidio, termine legale coniato solo nel 1944 dal Ttribunale di Norimberga, dal greco genos “razza”, e suff. “cide”). “Destruction méthodique d’un groupe ethnique. L’extermination des Juifs par les Nazis est un génocide” (Le Petit Robert, 1973, p.779)
Parlare della caccia all’uomo significa parlare di un segmento di una più lunga storia di violenza perpetrata dai dominatori. La caccia di cui vogliamo parlare non è una caccia metaforica. Con essa intendiamo quei concreti fenomeni storici in cui alcuni essere umani furono inseguiti, cacciati, catturati e uccisi nelle forme della caccia. Queste sono state abitudini ricorrenti in Europa, talvolta perpetrate dalle masse, e le forme di questi costumi furono teorizzati per la prima volta nell’antica Grecia prima di essere formidabilmente esportate in tutto il mondo nell’era moderna durante lo sviluppo del capitalismo transatlantico.
In Italiano caccia ha due significati: uno è “l’atto di cacciare, in particolare la selvaggina”, l’altro è “l’atto di espellere qualcuno con violenza, forzare qualcuno ad abbandonare un luogo”. Così di base abbiamo due forme di caccia: una caccia di inseguimento e una caccia di espulsione. Una caccia che cattura e una che esclude. Sono due processi differenti ma che possono essere complementari: cacciare uomini spesso significa che quegli stessi uomini devono essere stati prima espulsi, cacciati via dalla società, dall’ordine comune. (…)
Dall’antichità la memoria poteva essere albergata nel lobo dell’orecchio (per Plinio; per i Romani, si tirava materialmente il lobo per rafforzare la memoria) o nel cuore (dal latino “cor, cordis, cuore, la particella re- (recordarsi) indica un rapporto reciproco, un voltarsi indietro, letteralmente girare il proprio volto/sguardo verso qualcuno o qualcosa o verso un interno, in questo caso un rivolgersi all’intimità del proprio cuore; ricordare significa quindi ricucire un rapporto strappato con il proprio cuore…).
Due parti della stessa medaglia che nella pièce “L.I.” sono al centro di tutto il ragionamento. Ma da questa particolare racine ideologica, tutto il racconto di novanta minuti con nove giovani attori, di cui un bravissimo Marco Menegoni, si attorciglia come un serpente sul valore di una lingua e sui disastri che la stessa ha provocato. Il fare teatro del gruppo Anagoor (dalla città immaginaria di Buzzati, “è scelto perché nasce dall’amore dei suoi fondatori per la città”), è composito e pluridisciplinare con una “visione algoritmica”, essenziale, algida e simmetrica, fatta di compilazioni maniacali e di rigore assoluto, sospesa fra l’intricata matassa del tema e la linearità pedagogica di una visione mutuata dalla tragedia greca. Il tutto shakerato poi grazie alla multimedialità, “fermata” su tre schermi su cui si svolge il dialogo fra due ufficiali nazisti a caccia di una verità assoluta: l’ebraicità dei giudei caucasici, parlanti però una lingua neoiranica.
“In linguistica, per esempio, la grammatica indo-germanica comparata ha permesso di formulare una teoria delle mutazioni fonologiche che ha un ottimo valore predittivo. Già Bopp, nel 1820, faceva derivare il greco e il latino dal sanscrito. Partendo dal medio iranico e seguendo le stesse regole fisse, si ritrovano parole in gaelico. Funziona, ed è dimostrabile. E perfettamente comprensibile se un linguista di vaglia si abbandona a sottilissime disquisizioni del genere in una condizione di normalità. Ma se quel linguista, Voss, rivolge quelle parole a un ufficiale delle SS, Maximilien Aue, tra un’ammazzatina e l’altra di ebrei, zingari e comunisti nel Caucaso del i 942? Si tratta, in tal caso, della tremenda impassibilità del male: che è il tema de «Le Benevole», il best-seller di, Jonathan Littell che mi ha fornito il passo dì cui sopra. Ebbene, proprio tre dialoghi fra Voss e Aue costituiscono la colonna portante di “L.I. | Lingua Imperii” , lo spettacolo – importante e bellissimo – che la compagnia Anagoor ha presentato a Castel Sant’Elmo nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia. Il regista Simone Derai (autore, con Patrizia Vercesi, anche della drammatur-gia) gli ha conferito la forma di un rituale che accoglie suggestioni da tutte le esperienze capitali del teatro d’avanguardia (leggi, poniamo: Living Theatre, OdinTeatret, Grotowsky, Teatro Immagine, Il Carrozzone, giù giù fino alle sperimentazioni sulla voce della Raffaello Sanzio) per fonderle – ecco l’approdo straordinario – nel crogiolo di un acuto senso della storia che si nutre, insieme, di smarrite tenerezze e vertiginose scalate concettuali. Un esempio? Mentre si leggono su uno schermo e si sentono recitati in inglese, tedesco, francese, croato, russo e armeno i “Consigli per un genitore in lutto”, gli attori indossano corone di fronde, come per una festa, e poi si spogliano e, ammucchiati i vestiti in un canto, si accasciano disordinatamente gli uni sugli altri. Già, la Shoah. E davvero m’è sembrato che si spargesse, su quella sequenza, la consolazione del Qaddish intonato per i defunti. Si, la parola che Anagoor porta in scena è certo quella che, tacendo o mentendo, si fa complice del potere, ma è anche quella a che, risuonando in teatro, si fa veicolo di rinascita. Accade, e basterebbe questo, con i canti folcloristici raccolti da Komitas Vardapet prima d’impazzire di dolore per il genocidio armeno e morirne”.